di Frà Alexis Bugnolo
(This is the Italian version of the original English, which is found here; for the French translation, see here)
Desidero qui discutere un caso speciale di diritto giuridico, in cui la Chiesa deve affrontare la necessità di rimuovere dall’incarico un papa eretico. Dato che il fatto che esista un modo giuridicamente valido per farlo è un presupposto necessario dell’Iniziativa Sutri, e poiché cardinali eminenti come Burke hanno pubblicamente affermato che non esiste una soluzione canonica a tale problema, ora spiegherò pubblicamente come si può fare, per dare spunti di riflessione a tutti coloro che desiderano vedere spiegato come può essere che il cardinale Burke abbia torto nella sua opinione.
Innanzitutto, lasciatemi dire che questa soluzione, per essere canonicamente valida, non deve violare alcun canone del Codice di Diritto Canonico, pubblicato da Giovanni Paolo II, che vieta al canone 334 che vi sia alcuna innovazione nel diritto della Chiesa quando la Sede Apostolica è impedita o vacante, cioè quando il Romano Pontefice non la promulga. Per il Codice del 1983, vedi qui.
In secondo luogo, non deve nemmeno violare il principio giuridico e il Dictum della Fede, ovvero che sedes prima a nemine judicatur, vale a dire che la prima sede non è giudicata da nessuno. E questo, inteso come il dotto cardinale Bellarmino riteneva inteso, cioè che non è lecito a nessuno nella Chiesa giudicare la persona del Romano Pontefice.
In terzo luogo, contro la sentenza del Romano Pontefice non vi è appello (canone 333 § 3). Non si possono quindi revocare i suoi decreti, anche se si può spingerlo a ritirarli per un motivo legittimo.
NOTA BENE: Qui uso “giudicare” non in riferimento alla formazione di una convinzione personale nel fedele che considera il Romano Pontefice, ma a un atto giuridico con il quale viene proclamata una sentenza o si discerne un fatto giuridico.
Il Romano Pontefice, in quanto Pontefice, non può essere rimosso dall’ufficio dagli uomini
Da questi due principi ne consegue che il Romano Pontefice propriamente parlando non può e non potrà mai essere rimosso dall’ufficio, se non per atto diretto del suo Superiore, il Signore Gesù Cristo, il quale non avviene se non con la morte.
Dico propriamente parlando, cioè, quando parliamo dell’uomo che è il Romano Pontefice, in quanto Romano Pontefice. In questo senso viene chiamato Romano Pontefice, ovvero la persona del Romano Pontefice. Ed è così che il diritto canonico parla sempre di lui, poiché questa è la norma giuridica in ogni discorso del diritto canonico. Infatti, come Romano Pontefice, non può essere giudicato da nessuno e non è soggetto all’autorità di alcun sottoposto.
Il Romano Pontefice, in quanto uomo, può essere giudicato
Che l’uomo che è il Romano Pontefice possa essere giudicato, però, è chiaro, perché è l’insegnamento del Magistero pontificio, tramandato da papa Innocenzo III – eminente canonista – e perché è chiaro che l’uomo, in quanto uomo, è anch’esso soggetto a Cristo e all’autorità della Chiesa.
Nessun uomo nella Chiesa può essere giudicato se non dalla legittima autorità
Ciò deriva direttamente dal fatto che Cristo ha dato la Sua autorità alla Chiesa per pascere tutto il Suo gregge, sia collettivamente che individualmente. E poiché nessuno, tranne colui che detiene autorità su un uomo, può giudicare un uomo – questo è un principio naturale di ogni diritto (ius) – solo il superiore ordinario di un uomo, o il Papa, o coloro che detengono l’autorità ecclesiastica nella regione, possono giudicare un uomo.
Un Concilio provinciale può giudicare tutti gli uomini della sua provincia
Un concilio provinciale di tutti i Vescovi di una provincia ecclesiastica ha autorità su tutti i cattolici di una provincia, come dichiara il canone 432 § 1. Il concilio provinciale, infatti, ha status di persona giuridica, come dichiara il canone 432 § 2.
Ciò significa che un concilio provinciale può giudicare qualsiasi cattolico che risiede nel suo territorio, sia discernendo fatti giuridici o morali riguardanti l’uomo, sia imponendo sanzioni o sentenze canoniche.
Un concilio provinciale nella provincia ecclesiastica di Roma può giudicare l’uomo che è il Romano Pontefice
Da quanto precede ne consegue che il concilio provinciale della provincia di Roma può giudicare il Romano Pontefice come uomo, cioè riguardo ai fatti giuridici o morali che lo riguardano, cioè se sia cattolico e se ha una valida rivendicazione sull’ufficio di Romano Pontefice. Infatti in tali cose il Concilio non giudica l’ufficio che egli rivendica.
Nei casi di eresia e di invalidità della rivendicazione d’ufficio, il Concilio Provinciale Romano può essere convocato dai Vescovi della Provincia senza e contro la volontà di colui che rivendica il papato
Il canone 442 § 2 concede ai Vescovi di una provincia di convocare un concilio provinciale quando la sede metropolitana della provincia è legittimamente impedita. Qui il latino recita:
Metropolitanae, eoque legitime impedito, Episcopi suffraganei ab aliis Episcopis suffraganeis Electi est concilio provinciali praeesse.
Il concetto di “legittimamente” impedito si riferisce non alle norme del diritto canonico né alle norme di qualsiasi diritto pontificio, ma a un motivo o causa moralmente valida che impedisce al Metropolita di agire: la costrizione fisica o morale, l’incompetenza o l’incapacità.
Ad esempio, se il Metropolita viene rapito o trattenuto da forze ostili; in arresto, in coma; aver subito un ictus o un collasso mentale o emotivo che impedisca l’uso della retta ragione; nascondersi per paura di essere catturati, o comunque incapace di comunicare. Questi sono fattori oggettivi per l’esercizio del suo munus.
Ma se l’uomo è eretico o scismatico o apostata, ma non è stato ancora privato dell’ufficio, ne consegue, in ragione del principio giuridico, che laddove vi sia forza maggiore, cioè un maggiore potere che interviene o ostacola, di quelli citati nei casi normali per impedimento, tanto più è legittimo ritenere che la sede sia impedita.
Quindi, poiché il Romano Pontefice è il Metropolita della Provincia Romana, quando l’uomo che è il Romano Pontefice è un eretico, un apostata o uno scismatico, allora può essere giudicato in un concilio provinciale.
I Vescovi della Provincia Romana hanno il diritto di esigere la prova dell’affermazione di quell’uomo di essere Romano Pontefice
Poiché i Vescovi della Provincia non possono presumere che un uomo sia colpevole o che un fatto sia tale prima di giudicarlo, è necessario che interrogando l’uomo che si dichiara Papa, stabiliscano che egli rifiuta di dimostrare che la sua pretesa è valida o che sia cattolico. Tale rifiuto, di persona o con comunicazione scritta, prova giuridicamente e canonicamente l’esistenza di un dubbio oggettivo, dal quale nasce conseguentemente ed immediatamente un impedimento per la Sede Apostolica a causa del rifiuto, da parte di colui che rivendica l’ufficio, di dimostrare ai Vescovi della Provincia la validità della sua pretesa di governarli.
In mancanza di offerta probatoria spontanea, può essere convocato un concilio provinciale per richiedere prove speciali e straordinarie
Ciò è per diritto naturale, cioè per diritto naturale ogni regnante ha il dovere di dimostrare ai suoi sudditi la legittimità della sua pretesa di signoria su di essi. Questa dimostrazione deve essere tanto più solenne e collegiale quando i suoi colleghi ne chiedono la prova.
Richiedere tale prova è un diritto del soggetto e una dimostrazione della sua onestà. Poiché non lede i diritti di nessuno, non danneggia nessuno e non è un crimine. E quindi una simile richiesta non può essere rifiutata.
Normalmente ciò avviene mediante la promulgazione dell’elezione o della nomina del superiore da parte della persona o dell’ente che ha l’autorità di nominarlo.
Ma quando intervengono fatti oggettivi che mettono in dubbio ciò, la prova può essere richiesta di diritto dai suoi pari, poiché essi, in quanto titolari della giurisdizione locale sotto di lui, hanno il diritto naturale alle prove più certe.
E così quando tramite contatto personale e per iscritto viene rifiutata la prova spontanea della cattolicità di colui che pretende di essere Papa o la validità della sua elezione, i Vescovi NON presumono, quando si avvalgono del diritto loro concesso, a causa di una sede impedita, a convocare un concilio provinciale senza o contro la volontà di colui che si pretende Papa.
Tale Concilio provinciale, convocato senza o contro la volontà di colui che è il Romano Pontefice, non può essere ostacolato da alcuna autorità
Tale concilio non può essere impedito da alcun atto di alcuna autorità ecclesiastica, poiché sui Vescovi della Provincia Romana non ha potestà nessuno se non il Romano Pontefice, né colui che si professa Romano Pontefice, ma rifiuta il consenso spontaneo alle sufficienti prove nel corso normale delle cose, esercita legittimamente l’autorità dell’ufficio del Romano Pontefice per ostacolare o vietare tale convocazione. Poiché con il suo rifiuto ha impedito la Sede Apostolica, con la sede impedita i suoi poteri sui sudditi non possono essere usati per alcun fine legittimo.
Tale concilio provinciale può legittimamente convocare colui che pretende di essere il Papa
Che un tale Concilio possa legittimamente, cioè canonicamente, costringere, l’uomo che afferma di essere papa a parteciparvi, deriva dalla sua autorità concessa nel canone 432. Ne consegue anche dal canone 443, che richiede che tutti coloro che rivendicano uffici di vescovo nel territorio siano convocati in ogni concilio provinciale, e dal canone 444 §1, che richiede la presenza di tutti i convocati. Né può reclamare impedimento, se può viaggiare liberamente o parlare con gli uomini.
Tale Concilio provinciale deve prima protestare contro l’uomo che sembra essere un eretico, scismatico o apostata, ma rivendica il papato
C’è un ordine nella Carità, e, quindi, prima i Padri conciliari dovrebbero procedere esponendo le ragioni della convocazione del Concilio e chiedere che coloro a cui spetta il diritto di voto confermino la convocazione. Poi, dovrebbero esporre le ragioni per convocare colui che pretende di essere papa, per dare solenni prove certe che la sua elezione era giuridicamente valida e che la sua pretesa alla carica rimane legittima. Poi dovrebbero interrogare l’uomo per ottenere prove solenni della validità o della nullità della sua richiesta. E, con le risposte date, proporre di rilasciare una dichiarazione solenne sulla loro coerenza, chiedendo il voto del concilio per approvare che l’uomo è o non è idoneo a ricoprire la carica che rivendica, ha una valida pretesa o ha perso il suo diritto. Pertanto, se i Padri conciliari ritengono che le sue risposte siano insufficienti o dubbie, il Concilio dovrà protestare una seconda volta con l’uomo in questione e giudicare le sue risposte mediante voto una seconda volta, e anche una terza volta, se necessario. Dopodiché se persiste nelle sue risposte invalide, il concilio può solennemente dichiarare oggettivi i fatti giuridici che detto uomo, in virtù del canone della chiesa applicabile, non ha mai ricoperto l’ufficio, o non lo ricopre ora, a causa del fatto di non essere un cattolico.
Tale concilio provinciale non impone alcuna pena né privazione d’ufficio, e quindi non ha bisogno che i suoi atti siano approvati dal Romano Pontefice
Una constatazione di fatto è un atto di discernimento da parte di un’autorità competente a farlo. Un concilio provinciale romano è la persona giuridica più alta e competente per accertare tali fatti mediante indagini e interrogatori di tutti i cattolici nella provincia romana. Solo in caso di frode la sentenza di tale concilio potrebbe essere impugnata. Pertanto, se tale concilio accerta che l’uomo non ha una pretesa valida al papato o non è cattolico, allora può dichiararlo scomunicato a motivo del canone 1364, e quindi, ipso facto, privato dell’ufficio, poiché nessuno scomunicato può rivendicare un ufficio nella Chiesa, a norma del canone 1331.
Colui che si dichiara Romano Pontefice e rifiuta di dare prove spontanee e solenni della legittimità della sua pretesa a ricoprire l’ufficio, può essere dichiarato ipso facto deposto se rifiuta di presenziare a tale Concilio Provinciale
Che un tale uomo, se rifiuta di presenziare a qualsiasi parte di un siffatto concilio provinciale, dove potrebbe dare prova solenne e giuridica delle sue pretese, può essere dichiarato deposto, consegue dai principi sopra enunciati, perché nessun uomo con una pretesa onesta vorrebbe rifiutare tali prove. Che un Papa validamente eletto, Benedetto IX, sia stato dichiarato contumace e deposto per essersi rifiutato di partecipare a un simile concilio provinciale nel dicembre del 1046, a Sutri, in Italia, è un fatto storico, accettato come valido dalla Sede Apostolica per quasi 1000 anni: un’accettazione che è equipollente all’approvazione e alla conferma dell’argomento di cui sopra, delle loro ragioni di diritto naturale ed ecclesiastico, e della loro validità secondo la legge consuetudinaria.
Ergo quod erat demonstrandum, demonstratum est.
SI PREGA DI CONDIVIDERE QUESTO ARTICOLO CON TUTTO IL CLERO CHE SUPPORTA L’INIZIATIVA SUTRI O CHI SI OPPONE AL FIDUCIA SUPPLICANS!